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Associazione culturale Barabàn

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La storia del film "A5405. Nedo Fiano" Stampa E-mail

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Nedo Fiano con la moglie Rina Lattes

 
La storia del film "A5405. Nedo Fiano"
di Aurelio Citelli

L'idea
Adesso che Nedo se n'è andato, è giunto il tempo di raccontare una piccola storia. L'idea del film su Nedo Fiano (A5405, era la sua matricola ad Auschwitz) mi venne nel 2009 dopo aver visto le riprese di sua conferenza alla Camera del Lavoro, organizzata dalla Provincia di Milano (ente per il quale ho lavorato quasi 43 anni), in preparazione dei Viaggi della Memoria. La forza della sua testimonianza, il suo modo di porsi, il racconto duro e vivo dell'esperienza sua e dei suoi familiari - tutti finiti nei forni crematori di Auschwitz per la sola 'colpa' di essere ebrei - ne facevano un testimone di grande forza. Di fronte al suo racconto era impossibile rimanere indifferenti.
Ne parlammo alla dirigente del Settore comunicazione, Cinzia Boschiero, che ci diede il via libera per contattare Nedo e registrare la sua testimonianza. 

Gli studenti
Con Renato Minotti, direttore della fotografia, e Giuseppe Mazzotta, operatore - dipendenti della Provincia - lavorammo un anno registrando la testimonianza di Nedo nella sua casa di via Donati, al quartiere ebraico, nello studio di via Panizza, al Parco Montanelli e nei giardini sotto la sua casa. Rispetto alle conferenze (ne fece oltre mille), davanti alle telecamere Nedo era più sobrio, ma non meno intenso, profondo.

Un sabato mattina, Giuseppe Mazzotta ed io andammo all'Istituto Oriani Locatelli, di Milano, dove Fiano teneva una conferenza.
Per due ore, solo in scena, con la sua casacca a strisce a fargli da scenografia, Nedo incantò 200 studenti. Impietriti. Quando concluse il suo racconto gli studenti lo circondarono tempestandolo di domande sulla sua famiglia, su Hitler, i forni crematori. Alcuni gli chiesero vedere il numero tatuato che portava sul braccio. Nedo era riuscito a passare il testimone a quei giovani, a comunicare loro l'orrore dei campi di sterminio. Chi ascolta un testimone della Shoà, diventa lui stesso testimone.

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Milano, Parco Montanelli, luglio 2010. Nedo Fiano con Renato Minotti (direttore della fotografia) e Aurelio Citelli (regista) durante le riprese di A5405. Nedo Fiano


Usciti dalla scuola, Nedo ci chiese un passaggio in auto e noi fummo ben lieti di accompagnarlo. Quel viaggio fu una lezione di storia: raccontò aneddoti sul lager, cantò canzoni, lanciò imprecazioni in tedesco. Suoni, scritte, visi e perfino odori lo riportavano sempre là, nel campo di Auschwitz. Un luogo da cui non è mai uscito.
Dopo diversi tentativi, si convinse a prestarci gli album delle foto di famiglia che ci servivano per il film. Un patrimonio di grande valore, non si sa come sopravvissuto alla sottrazione di tutto ciò che stava nella casa fiorentina dei Fiano: alla fine del 1945, quando ritornò a Firenze, Nedo aveva trovato la casa vuota. Era rimasta solo una scarpa, di camoscio marrone, del fratello Enzo, bruciato nel forno crematorio insieme alla moglie e al figlio di 18 mesi. Sentivo una responsabilità enorme: lì dentro, c'era la memoria di una famiglia che, tranne Nedo, non esisteva più.
Un lunedì, su consiglio di Alessandra, amica giornalista, scrissi a Ferruccio De Bortoli, allora direttore del Corriere della sera, per chiedergli una testimonianza su Nedo. Dopo mezz'ora rispose lui stesso e il mercoledì eravamo nel suo ufficio in via Solferino. Stessa cosa con Moni Ovadia, Liliana Picciotto. Nedo apriva tutte le porte.
 
Il boicottaggio
Terminato il montaggio, accompagnammo Nedo e la moglie Rirì nei nostri studi di via Guicciardini per una visione del film. Al termine, Nedo si alzò e senza proferire parola, mi abbracciò. Era emozionato. E io più di lui.
Quando avanzammo al Presidente della Provincia, Podestà, la proposta di presentare il film in occasione del Giorno della Memoria 2012, la risposta fu il silenzio. Sembrava che la giunta (di Centro-destra) volesse insabbiare il film, nasconderlo. Podestà, supportato dal vice Presidente Maerna (già del Movimento Sociale e poi in Alleanza Nazionale), iniziò a fare melina, a non decidere una data per la presentazione, a non volere una conferenza stampa e la diffusione di comunicati ai giornali. I giorni passavano e le risposte non arrivavano. Al 10 gennaio, ancora non sapevamo se il film sarebbe stato presentato. Mai, in 43 anni, ho vissuto un periodo tanto buio.
Da dipendente, non avevo autonomia decisionale, tutto doveva - giustamente - essere autorizzato. Ma il comportamento dei vertici, i silenzi e l'ostilità, diventavano sempre più insopportabili. C'erano di mezzo Nedo, la sua storia, la Shoà. Qualcosa mi sfuggiva.
Decisi - rischiando - di forzare la mano.
Ne parlai a Sergio Slavazza, allora direttore dell'Editrice Monti che pubblicava i libri di Fiano, e concordammo di informare il figlio di Nedo, Emanuele, deputato, confidando in un suo intervento. Avuto il numero da Sergio, telefonai all'on. Fiano, alla Camera dei Deputati, gli raccontai del film, della spiacevole situazione venutasi a creare, di Nedo che chiedeva conferma della presentazione e del boicottaggio, sotto traccia, dei vertici. Emanuele capì. Chiamò Podestà e la presentazione si sbloccò.

Il sabotaggio
Ma si sbloccò a parole. L'invito, stampato in poche copie, non riportava né nomi di relatori (nessuno fu invitato), né, anche se meno importante, il nome del regista. Tutto era anonimo. Fecero di tutto per sabotare ogni tipo di promozione. Volevano lo Spazio Oberdan vuoto, quasi mirassero all'umiliazione di Nedo (o di Emanuele? ma perché?). Continuavo a non capire.
Ci giunse voce che nelle stanze presidenziali, spazientiti, si chiedevano continuamente chi avesse avuto l'ìdea di produrre il video, chi avesse deciso di fare una presentazione pubblica. I sospetti caddero sull'ex Presidente Penati, e poi sul Presidente del Consiglio Provinciale Dapei (del PDL e vicino al mondo ebraico), estranei a tutto. Non compresero che il responsabile era lì, negli uffici di via Guicciardini.

Partigiano (in piccolo)
Fui io, all'insaputa di quasi tutti, alla Provincia di Milano, con l'appoggio di Mario Zerbini e dei colleghi di Medialogo, a organizzare la serata, a prenotare con qualche artificio lo Spazio Oberdan (in quegli anni tristemente gestito dall'assessore Maerna), a redigere e inviare i comunicati stampa al Corriere della sera, la Repubblica, a contattare il Bollettino della Comunità ebraica, a mobilitare amici e conoscenti. Seppur non autorizzato, feci un'intervista a Radio Popolare con Barbara Sorrentini, registrandola dal mio ufficio. Per dieci giorni, imitando (in piccolo) i partigani ebrei del ghetto di Varsavia, lavorai sott'acqua perché l'evento avesse successo o, almeno, non naufragasse.
Da un lato c'erano la miopia e gli interessi di politici provinciali (nel senso più deteriore del termine), dall'altro c'era la storia di Nedo, il dramma della sua famiglia, la memoria della Shoà.

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Milano, Spazio Oberdan, 2 febbraio 2012. Presentazione del film A5405. Nedo Fiano
 

Per Nedo. Per Milano. Per non dimenticare
Il 2 febbraio 2012, con le strade di Milano coperte di neve e ghiaccio, freddo, gente che rovinava sui marciapiedi, oltre 100 persone affollarono lo Spazio Oberdan per vedere il film A5405. Nedo Fiano. Due minuti prima dell'inizio Podestà arrivò accompagnato dal solito codazzo di lecchini e baciapile: disse due frasi scontate e se ne andò. Del film non vide neppure i titoli di testa.
In platea c'erano Nedo, la moglie Rina Lattes, l'on. Emanuele Fiano con il figlio, Roberto Jarach, Presidente della Comunità ebraica di Milano (vergognosamente invitato all'ultimo momento e non annunciato), due suore del Centro Asteria che, scherzosamente, Rirì diceva essere segretamente innamorate di Nedo.
Mancavano, perché non invitati, Ferruccio De Bortoli (era anche Presidente del Memoriale della Shoà), Liliana Picciotto del CDEC e Moni Ovadia, che nel film testimoniano su Nedo. C'erano Minotti e Mazzotta di Medialogo, Sergio Slavazza, Maddalena Soler (di Barabàn, che nel video canta una ninna nanna) e la mamma Manuela, c'era l'altro Barabàn Alberto Rovelli con il padre e la madre venuti da Lacchiarella, c'erano Anna Lomazzi, Massimo Cecconi, Tonino Curagi, Anna Gorio e tanti altri.

E poi c'ero io. Stanco ma felice. Per Nedo. Per Milano. Per non dimenticare.
(e per aver beffato il camerata Maerna).

 

 

 

 

 

 

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