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Barabàn - Terre di Passo
Barabàn - Terre di Passo (2002)(2002) ACB/CD13 (CD) - SCARICA SU ITUNES >>


Le terre di passo sono il luogo simbolico di incontro delle differenze, delle contaminazioni linguistiche, di riti, tradizioni. Il luogo della memoria. Ma sono, anche, simbolo di una terra di frontiera più grande: l’Italia, terra di passo per eccellenza, luogo di passaggio di popoli e genti diversi, spazio ideale di confronto e scambio delle alterità.


Terre di passo, terre di vento, terre di confine


L'ultimo lembo di entroterra ligure, al confine tra Italia e Francia, è terra povera, aspra, battuta dal vento e dai traffici più diversi. Terra di antichi passaggi, sui suoi sentieri si canta e si danza si odono parole e suoni di paesi lontani.
Sono i barabba del mondo, gli affamati della terra, baraban migranti, clandestini, donne e uomini senza carte che, nell’Europa che ha abolito le frontiere, non si azzardano a passare dalle normali vie di traffico. Ripercorrono strade un tempo battute da ritals, passeur, contrabbandieri, ebrei, perseguitati politici.

Seguire il filo di questi passaggi, antichi e nuovi, è un po’ come seguire il filo della storia, il passare delle stagioni.

Vent'anni fa, dopo aver preso per nome un termine derivato dall’aramaico Bar aba (figlio del maestro), è iniziato il cammino di Barabàn. Di quella parola onomatopeica, che nei paesi di origine slava significa tamburo, ci affascinavano il suono arcaico, la musica da ballo che ne conservava il nome, il Ballo di Baraben o Ballo di Mantova, e l’immagine del batt barabàn (battere Barabba), un rituale lombardo. Quel termine, comune a tante lingue di origine indoeuropea e ancora conosciuto nel nord Italia, reca con se tanti significati: Barabba, vecchio, monello (barabin), sovversivo, ribelle, vagabondo, emarginato.

Come i migranti contemporanei, anche Barabàn ha scelto sentieri impervi, inconsueti, di frontiera: dare voce alla cultura di tradizione orale, ai canti e ai suoni del mondo popolare, alle storie "altre". E’ iniziato così un viaggio nella memoria, nel sapere, nei linguaggi e nella storia dell'Italia settentrionale: canti rituali contadini e canzoni da cantastorie, storie di cavalieri e donne sedotte, canzoni di protesta per i soldati morti sul Monte Nero e nelle valli di Gorizia.
La musica è divenuta per noi l’occasione di riscatto di una cultura negata, il luogo dell’impegno civile oltre che dello spettacolo.

Oggi qui, l’aria si è fatta irrespirabile. Imperano le veline televisive di regime, il pensiero unico, i megafoni dell’ideologia xenofoba, l’intolleranza, la volgarità. La storia viene capovolta, le voci fuori dal coro zittite, la memoria negata. Tanti urlano la loro indifferenza.
Noi la nostra differenza, la cantiamo. Cantiamo l’Italia, i passaggi di ieri e di oggi, la sete di giustizia, la sofferenza, la speranza.

Rilevante, per questo tratto di strada, è stato l’incontro con le liriche di Franco Loi. La sua poesia carica di tensione e musicalità, popolare e colta, arcaica e moderna, ci è parsa un approdo naturale. Profondamente legato alla Milano operaia, artigiana, periferica e dialettale (la città del "popul armà, popul de speransa"), Loi assegna a questi testi, scritti in anni lontani, una funzione testimoniale, talvolta di invettiva ("Italia ladra, terascia de cü alégher"), e dà voce alle istanze della parte esclusa dell’umanità.
Spunti e idee ci sono venuti anche dall’opera di altre due figure della cultura moderna: Francesco Biamonti e Fabrizio De André.
La fonte principale di questo lavoro, tuttavia, rimane il patrimonio di conoscenze, storie e linguaggi, di tante donne e uomini che abbiamo incontrato sui sentieri della memoria. Un patrimonio utile, anche per il futuro.

"Se non sai dove stai andando volgiti a guardare da dove vieni". Bar aba, Barabbas, Baraban.
La nostra strada, il nostro sentiero, sta lì, in quel nome.

 
Franco Loi è nato a Genova, nel 1930, da padre cagliaritano e madre colornese. Dopo sette anni di traslochi per seguire gli spostamenti del padre ferroviere, si stabilisce a Milano. Qui vive la guerra, lavora, fa politica, passa il tempo tra cortili, strade, case del popolo, dancing. Vive tutte le trasformazioni della città e le racconta con quel suo linguaggio “ricreato”, pieno di suoni e musicalità diverse.
Le sue liriche, intrise di passione, amore, dolore e gioia, scaturiscono da una profonda coscienza storica e da un forte vincolo con Milano e la sua gente.



L'album

  Tracklist Musicisti
Terre di passo Vincenzo Caglioti:organetti diatonici, voce
Aurelio Citelli: voce solista, ghironda, bouzouky, tastiere, basso
Giuliano Grasso: violino voce
Diego Ronzio: darabuka, batteria, percussioni, clarinetto, piffero, sax, voce
Paolo Ronzio: chitarra, bouzouky, mandolino, flauti, cornamuse, voce

con

Mouna Amari: voce
Donata Pinti: voce
Luigi Zucca: contrabbasso

  Bar aba, Barabbas, Baraban
  Le Valli dei Cavalieri
  Italia
Notte mediterranea
  Primula Rossa e Vento d’aprile
  La set
14 luglio
  I sàres
  Moline swing
  El silensi
  MazuDoru
Canzone del Maggio (live)
   

 
Recensioni

Solido e di grande impatto emotivo il lavoro dei Barabàn, dipanato in cinque precedenti lavori discografici. Qui però la posta per lo storico gruppo milanese è ancora più alta… Nulla va perso dell'impatto sostanzioso del suono Barabàn, arricchito da sfumature inedite: cadenze yiddish, una ninna nanna araba che sfocia in una "dondela" romagnola, strumentario allargato di corde, ancie e percussioni usato con gusto, i testi appassionati del poeta Franco Loi. In chiusura una splendida versione “Live" della Canzone del maggio di De André, che già compariva nella raccolta Canti Radagi, ma ora resa con un quid di forza lucida in più. (World Music, 2003)

Un piccolo capolavoro
(La Provincia, 2003)

I fans di Barabàn adoreranno certamente questo sesto disco. Soprattutto perché è ben realizzato. La registrazione e il lavoro di studio impeccabili. I testi sono politicamente corretti. I musicisti sono eccellenti, virtuosi.
(Trad, France 2003)

un album caleidoscopico, che reinventa le carte geografiche all’insegna di una musica totale, orgogliosamente legata alle radici ma anche “al di là” delle radici. Molto belli i testi di Franco Loi, uno dei più celebri poeti italiani, colmi di ironia, passione, dolore, e di inevitabili riferimenti alla storia italiana di ieri e di oggi. (Rockerilla, 2003)

Terre di passo si può tranqillamente considerare un punto d’arrivo per la maturità con cui è stato concepito e la bellezza delle canzoni.
(Jam, 2003)

Un lavoro al contempo colto e popolare, arcaico e moderno, sicuramente un lavoro maturo e convincente…spiccano gli splendidi testi di Franco Loi
(Suono, 2003)

Un disco che costringe a pensare (finalmente! verrebbe da dire…), che antepone alla fastidiosa stucchevolezza  pseudo-filologica di molti dischi che si dichiarano “tradizionali”, una musica che si fa discorso, oltre gli intellettualismi di rito, e scende a patti con la più impresentabile delle realtà
. (Folkbulletin, 2003)

una mescolanza sapientemente scelta di materiali della tradizione, composizioni ricche di sensibilità e poesia contemporanea (Folk Roots, United Kingdom 2003)

…forse il miglior lavoro finora espresso da questo gruppo storico e una delle cose migliori del folk italiano più recente.
(L’Ovadese, 2003)

Terre di passo è l’album più maturo e convincente del gruppo milanese. Un felice incontro di poesia contemporanea e musiche tradizionali. Forti di una solida cultura etnomusicale, i Barabàn spaziano dall’arcaico al moderno, dalle mazurche del Canavese ai canti yiddish, dalle melodie dei violinisti dei monti parmensi allo swing” (Panorama Travel, 2003)

... c'è un disco uscito circa contemporaneamente al Fischio del vapore e che secondo me è molto più bello; si chiama Terre di passo, lo ha inciso un gruppo che si chiama Barabàn: ci sono musiche tradizionali e canzoni originali in stile sugli stupendi testi in dialetto milanese del poeta Franco Loi. Le canzoni parlano dell'Italia e della sua storia, la tradizione popolare la senti nella sua espressione migliore”.(www.golemindispensabile.it, 2004)

 “Centrale in questo disco dei milanesi Barabàn è la poesia del milanese Franco Loi, classe 1930, uno degli autori che hanno rimesso al centro della letteratura italiana contemporanea la dignità delle lingue non nazionali.” (Il giornale della Musica, 2005)

Un bel disco, che coniuga impegno civile e denuncia sociale con un suono d’insieme pieno ed incisivo, carico di pathos ed energia, spesso dalle tinte epiche, come nella splendida traccia iniziale, che dà il titolo al disco, opera di Aurelio Citelli” (www.lacantarana.it )

“... può forse far trasalire qualcuno l’introduzione di un traditional tunisino, ma chi conosce il gruppo sa che non si tratta di puristi e neppure di innovatori da quattro soldi...” (Blow up, 2003)

 

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