Musica. Milano. Mondo: Barabàn
Oltre trent’anni di attività di un gruppo musicale che ha rivisitato e reinterpretato la tradizione orale popolare del nord Italia con coerenza e creatività. Chapeau.
Dal 1982 (si è poi costituita in associazione culturale nel 1986) si aggira per l’Italia e per l’Europa una compagine di straordinari musicisti che hanno dedicato la loro vita, almeno quella artistica, alla ricerca e allo studio di suoni e di parole della tradizione orale popolare.
Ricerche e studi che hanno prodotto un archivio immenso, tra i più importanti in assoluto a livello internazionale, di registrazioni e di immagini, di rielaborazioni e di concerti, sempre con lo spirito di preservare e tramandare le radici delle nostre culture, le memoria e le storie.
Già il loro nome affonda nelle radici della cultura. Deriva dall’aramaico “Bar aba” (Figlio del maestro) che nella nostra e in altre culture ha assunto significati vari (vecchio, sovversivo, ribelle, vagabondo), ma nei paesi dell’est europeo il baraban è il tamburo.
Ribelle e vagabonda come sovente si presenta la musica popolare che racconta molto spesso eventi di lotta e di malessere sociale, storie di disperazione e di riscatto.
In oltre 30 anni di attività i Barabàn si sono occupati attivamente di questo mondo, producendo numerosi dischi frutto delle loro ricerche e delle loro rielaborazione della musica popolare dell’Italia settentrionale, sempre con un’estrema attenzione alle matrici originali e tradizionali.
Musica sacra (La Santa Notte dell’Oriente) e musica profana (Terre di passo), canti di guerra (Voci di trincea. Echi della Grande Guerra) e di liberazione (Venti5 d’Aprile), contaminazioni con musiche orientali e yiddish, nella matrice comune di tradizioni che descrivono i popoli da nord a sud, da est a ovest.
Accanto alla parola, assume significato compiuto la musica. La musica dei balli popolari eseguita con strumenti originali e antichi come la ghironda, l’organetto diatonico e il piffero. Musiche rielaborate che conservano però ritmi e sonorità del loro tempo.
Nello spirito della ricerca e della contaminazione, i Barabàn hanno partecipato alle due edizioni di Canti randagi, rassegna musicale, con relativo disco, dedicata a Fabrizio De Andrè in cui numerosi gruppi della musica popolare hanno reinterpretato Faber nelle loro lingue/dialetti.
Nell’edizione del 1995, i Barabàn hanno riproposto in lombardo Canzone del maggio (rilettura molto apprezzata dallo stesso De Andrè), in quella del 2009 hanno rivisitato Fiume Sand Creek attribuendole nuovi significati e riferimenti (il fenomeno dell’immigrazione).
Tra una ricerca canonica e l’altra , si sono anche misurati con le poetiche di Franco Loi, Francesco Biamonti e Alda Merini, musicando loro componimenti. Nuovi linguaggi, nuove sonorità.
Nel corso degli anni, si sono alternati nella compagine numerosi musicisti. Del primissimo nucleo, con oltre trent’anni di lavoro e di esperienza, continuano a stupire per la loro versatilità Vincenzo Caglioti (organetti diatonici e voce), Aurelio Citelli (voce solista e polistrumentista) e Giuliano Grasso (violino e voce).
La loro musica la si può ascoltare dal vivo nei concerti che vengono organizzati soprattutto in Italia settentrionale. Il 25 aprile prossimo, per fissare ancora una volta la memoria sulla lotta partigiana e i suoi valori, saranno al Teatro comunale di Cantù per proporre il loro spettacolo Venti5 d’Aprile.
Per saperne di più e verificare dove si terranno i prossimi concerti è più che opportuno visitare il sito www.baraban.it
La musica dei Barabàn ha il grande fascino della musica antica rivisitata nella giusta misura per renderla sempre attuale e progressiva. Cantù non è poi così lontana. Bella Ciao.
(Massimo Cecconi) 23/04/2014