“Il valzer dei disertori” compie 30 anni

Trent’anni fa, nel febbraio del 1987, Barabàn entrava in studio per registrare Il valzer dei disertori uno degli album più amati della musica popolare italiana. Pubblicazione significativa per il percorso dell’ensemble e prima produzione di ACB, l’etichetta dell’Associazione culturale Barabàn, Il valzer dei disertori contiene brani storici come Sestrina, L’Emilia la va a Robi, Il povero Draghino, L’oi bella (Ratto al ballo) e altri ancora oggi eseguiti nei “live” di Barabàn: Montenero, Il valzer dei disertori, Monfrina di Carlin.

Dopo un’ intensa ricerca nelle Quattro province, in diverse località dell’arco alpino e dell’Appennino emiliano, alla quale si erano dedicati soprattutto Aurelio Citelli e Giuliano Grasso, Barabàn aveva accumulato materiale interessante e in gran parte inedito: canti narrativi, danze, musiche e canti rituali da piffero, musiche carnevalesche, strofette.

Nel 1986 i cinque musicisti lavorarono sodo per selezionare i brani, affinare arrangiamenti, sperimentare soluzioni musicali innovative, elaborare un sound originale e dinamico. La preparazione del disco era proseguita parallelamente all’attività concertistica che, dopo la partenza di Vincenzo per il servizio militare, nei bersaglieri, non si era interrotta.

Le prove per il nuovo album si tennero quasi sempre a Inveruno (MI) tranne in un caso quando, una domenica, furono organizzate eccezionalmente in Liguria – dove Caglioti era a militare – in una piccola casa sulle alture di Albenga (SV).

Dalla casa, situata su un crinale aperto, si godeva un panorama stupendo sul mare. Si passò il pomeriggio a provare diversi brani, soprattutto, Montenero.


Un contributo importante alla scelta della track list del nuovo LP era venuto dai canti di Eva Tagliani, contadina e grande interprete di Colleri (PV) dotata di un corposo e ben conservato repertorio che Aurelio e Giuliano stavano documentando. Il valzer dei disertori  reca il segno di quella ricerca e, qua e là, dell’atmosfera dei suoi canti, quel sapore malinconico, saudade, dove si cela un po’ il gusto romantico della solitudine, tipico di Eva. L’album contiene diversi brani del suo repertorio: L’oi bella, Montenero, Il povero Draghino, Fala balà.

Anche L’Emilia la va a Robi, che diventerà uno dei cavalli di battaglia di Barabàn, proveniva dallo stesso contesto culturale e geografico, l’area montana del Brallo, dove era in corso un’approfondita indagine sul patrimonio vocale delle donne che in gioventù erano state ai risi nella pianura lombarda e piemontese.

La consistente documentazione sonora raccolta sulle musiche da piffero, sulle danze carnevalesche della Val Caffaro, sulle musiche da ballo delle Alpi e dell’Appennino costituiva un “fondo” prezioso da cui attingere musiche strumentali. L’obiettivo, più volte dichiarato, era mettere in luce la ricchezza – di contenuti ed estetica – del patrimonio musicale popolare, la sua presenza nel tessuto culturale del nord Italia, la sua “resistenza” all’omologazione.

Agli inizi del 1987 la band era pronta per entrare in sala d’incisione.

L’incontro con Esaù Remor – fonico con il quale Barabàn collaborerà anche nel 1990 per la produzione dell’LP Naquane – fu un buon viatico per avviare la lavorazione. Esaù propose di registrare al Flower Sound, uno studio di registrazione, piccolo e accogliente, situato a Milano nei pressi di Piazzale Loreto. Il Flower era dotato di uno Studer 24 piste, macchina analogica di ottima qualità che registrava su nastri da 2 pollici, e di un mixer con un suono caldo e pastoso. Nel tardo pomeriggio del 4 febbraio iniziarono le registrazioni: si incominciò con La bella Lavorin (versione “da piffero” della ballata Carolina di Savoia raccolta a Negruzzo (PV) dalla voce di Mario Brignoli) quasi interamente registrata in diretta: voce, organetto diatonico, piffero e müsa. Sarà il brano che aprirà Il valzer.

Il lavoro in studio venne documentato dal fotografo Renato Minotti. Sue sono le foto dei musicisti qui pubblicate.

Tra le tante recensioni pubblicate dalla stampa italiana ed europea su Il valzer dei disertori, ne citiamo due, entrambe d’oltralpe (notoriamente, tranne rare e lodevoli eccezioni, i fogli italiani del “folk” guardavano sempre con sospetto tutto ciò che proveniva da Milano…):

…sono davvero dei talenti …è raro trovare un gruppo con capacità vocali che si equivale nell’abilità strumentale… un disco molto speciale. Vorrei raccomandarlo come disco ideale a chiunque sia interessato a conoscere la straordinaria musica tradizionale del nord Italia.”  (Folk Roots, Gran Bretagna 1988)

Se il loro primo disco era eccellente questo lo è altrettanto! Ci sono voluti quattro anni dall’uscita del loro primo Cd. In questi anni il gruppo ha acquisito molta professionalità senza perdere l’originale motivazione. Raccomandato.” (Tradition Vivante, Francia, 1988)