I ragazzi della Speranza

regia di Aurelio Citelli

I ragazzi della Speranza rievoca l’esperienza di teatro-scuola La Speranza messa in scena a Gaggiano nel 1967 ad opera del direttore didattico e regista Mariangelo de Filippi e interpretata dagli alunni delle scuole Elementari

Il film – presentato a Gaggiano in occasione dell’evento Cinquant’anni di Speranza, 1967 – 2017 organizzato dall’Associazione culturale Barabàn – si snoda tra le testimonianze dei protagonisti, spezzoni dello spettacolo in 8mm, foto in bianco e nero, musiche e riletture di parti del copione. Una narrazione a più voci che ha coinvolto anche lo stesso regista de Filippi, intervistato nello stesso salone della Scuola Elementare in cui nel maggio del 1967 fu allestita l’opera.


Partito nel 2014, il progetto Cinquant’anni di Speranza, 1967 – 2017 si è sviluppato attraverso la raccolta di memorie, frammenti di storie, diari, oggetti e documenti. Un lavoro di scavo – fatto cinquant’anni dopo – per ricostruire la storia di uno spettacolo che coinvolse tutto un paese, fu percorso educativo, scuola di vita, storia di comunità.

Sedimentate per anni, parole, gesti e musiche de La Speranza, con il loro carico di poesia, utopia ed emozioni sono riaffiorate nel ricordo di attori, coristi, del direttore-regista, della sarta, del cineoperatore. I loro racconti , intrecciati alle poesie di straordinaria bellezza, alle immagini in bianco e nero realizzate dal fotografo abbiatense Carlo Selva e al filmino a colori 8mm girato da Rino Macchi (e conservato da Aurelio Citelli), sono diventati un film: I ragazzi della Speranza.

La locandina dell’evento “Cinquant’anni di Speranza 1967-2017, Gaggiano (MI), 2017.


Il documentario si apre con le parole di Silvano Fontana, classe 1956, uno dei principali protagonisti de La Speranza: vestiva i panni di un piccolo “negro” nella mai dimenticata performance della “giostra” che, diversamente dagli autobus, non aveva un “dietro” dove confinare i neri. Ancora oggi, a Gaggiano, la battuta: “Ma la giostra è rotonda, rotonda, e non possono metterci dietro!” è ricordata come il “cuore”, il simbolo della Speranza.

Sono, però, le parole di oggi a dare ritmo al documentario. C’è il ricordo accurato di Alberto Zacchetti, che sul palco era il giovane ebreo Pavel Friedman, ci sono le memorie di Donatella Bertaggia, che interpretava Anna Frank, e quelle di Sandra Malabarba che sul palco era Caroline Kennedy. Ci sono i ricordi della sarta Carla Navoni e quelli dei coristi Gabriella Renoldi, Roberto Foini, Tiziana Ruscito, Elio Fradegradi e del cineoperatore Rino Macchi.

A richiamare i contenuti de La Speranza è lo stesso regista, Aurelio Citelli, che fra l’altro, rievoca non senza emozione la parte del “secondo negro” da lui interpretata:

Signore, sono stanco.
Sono nato stanco,
a lungo ho camminato, dal canto del gallo
ed alto è il colle che porta alla loro scuola.
Signore, non voglio piu recarmi alla loro scuola,
fate, vi prego, che non ci vada più.
E poi è davvero troppo triste la loro scuola,
triste come quei signori della città,
quei signori come si deve
che non sanno più ballare di sera al chiaro di luna
che non sanno più camminare sulla carne viva dei piedi
che non sanno più narrare alle veglie.
Signore, non voglio più recarmi alla loro scuola.

Le prove dell’opera furono lunghe, faticose, a tratti contrastate. Gli allievi trascorsero settimane a studiare il copione, a provare i canti non senza qualche malumore di qualche genitore che non vedeva con favore il teatro a scuola. Gli allievi, seppur elettrizzati dalla nuova avventura e impressionati dalle capacità artistiche del Direttore, faticavano a capirne il rigore, la ricerca della perfezione. E, sebbene stentassero a comprendere il senso complessivo dello spettacolo, giorno dopo giorno, prova dopo prova, imparavano l’importanza del lavoro insieme, il coordinamento dei movimenti, la dizione, il canto non cantilenato. Soprattutto, coglievano, via via, la profondità di ciò che stavano rappresentando, intravedevano la ricchezza dei riferimenti storici, sociali, geografici. De Filippi li conduceva sulle strade di Dallas e nelle fabbriche operaie, nei quartieri neri di Atlanta e nell’orrore di Auschwitz, nel deserto nucleare di Hiroshima e nella Chiesa nuova di Papa Giovanni XXIII.

Li accompagnava sulla Terra.

Tutto il paese era in fermento: mentre gli operai montavano un grande palcoscenico, le mamme cucivano tuniche di “seta”, gli elettricisti posavano i faretti, i papà recuperavano vecchi tappeti, fiaccole, una cetra e rami d’ulivo.


Finalmente, una sera di maggio, di fronte ad una folta platea venne il debutto. Al pianoforte, collocato in platea, sedeva la maestra-pianista Carla Pianca. Ad un cenno del direttore, settanta bambini scalzi e con le tuniche colorate, si disposero ordinatamente sui due gradoni e quando le luci si spensero Elio Fradegradi, Primo corista, attaccò il suo discorso:

Ce l’avete fatta. Siete proprio entrati in sintonia con noi. Non capita a tutti, neppure ai più pazienti. Sono più di quanto si crede coloro che, stanchi o delusi, cercano di mettersi in comunicazione con l’altro mondo. (…)

Opera teatrale innovativa, e a suo modo rivoluzionaria, La Speranza ha segnato la vita di una generazione di gaggianesi. Con una visione carica di futuro, lo spettacolo lanciava messaggi per il rispetto dell’altro, l’amore per la vita, il rifiuto della guerra e della bomba nucleare. Coraggiosamente, De Filippi affidò a quei giovani attori il ruolo di apripista della modernità, gli fece conoscere la parola “responsabilità”.

Fu un’esperienza importante, tanto da meritare un film.


regia di Aurelio Citelli
© 2017 Associazione culturale Barabàn
durata 50 min.