Se n’è andato Franco Loi, vûs fina

Uno dei maggiori autori italiani del Novecento e il più grande fra quelli in lingua milanese.

Nato nel 1930 a Genova da padre sardo e madre emiliana, dopo sette anni di traslochi per seguire gli spostamenti del padre ferroviere, nel 1937 Franco Loi si stabilì a Milano, al Casoretto. A Milano vive la guerra, lavora, fa politica (fu iscritto al Fronte della Gioventù e al PCI), passa il tempo tra cortili, strade, case del popolo, dancing. Partecipa a tutte le trasformazioni della città e le racconta con quel suo linguaggio “ricreato”, pieno di suoni e musicalità. Le sue liriche, intrise di passione, amore, dolore e gioia, scaturiscono da una profonda coscienza storica e da un forte vincolo con Milano e la sua gente. Nelle sue liriche mescola l’emiliano, il latino, arcaismi letterari, il milanese, il genovese; reinventa liberamente la lingua con l’immissione di numerosi ingredienti.

Franco Loi con Barabàn a Milano, Teatro Trotter, per la Giornata della Memoria, 2009.

Tra il 2001 e il 2002, per la produzione del CD Terre di passo, di Barabàn, Aurelio Citelli lavorò alcuni mesi con Franco per mettere in musica alcune sue liriche tratte dal libro “L’aria” (Einaudi, 1965). Aurelio musicò ItaliaLa setI saresFiò de rana (quest’ultima rimasta inedita), tutte poesie dedicate alla drammatica esperienza della Seconda guerra mondiale, ai bombardamenti di Milano, alla fucilazioni nelle piazze, alla sconvolgente visione dei martiri di Piazza Loreto del 1944 fra i quali Loi vede un suo maestro e il padre di un amico.Loi spiega ad Aurelio alcuni passaggi dei testi, ne corregge la dizione, lo rassicura sulla forma e sulla libera interpretazione, ascolta e approva i provini dei brani. Le poesie di Loi non hanno nome e così, concordemente, si decidono i titoli. 

Italia (Loi – Ctelli)

Padrun de can che lecca el cü a la serva,
minìster che sbavàscen de cristian,
stan setâ giò sü i scrann, tra l’acqua ferma,
sü i foss di mort, sü i légur, sü i rüffiân

Italia ladra, tera (1) de cü alégher,
fundéga d’arlecchìn e spüa-sül-piatt,
e le la canta la sgutàscia, la stralüscia,
la scund el cu per slöja del vardà

La serp de la malissia la s’insìga,
la volta i facc, la muasa j òmm in pret,
ghè gent che se ne frega, gent che massa,
gent trada in la rüera ‘me sciavàtt

Italia del bel su sü la verzera,
la rid sül sangh, la piang dal tropp magnà.
Gran furfa, pueràja, talp de minera,
ballèm insèma al su che vegnarà !

Traduzione: Padroni di cani che leccano il culo alla serva/ ministri che sbavano da cristiani / stanno seduti sugli scranni, tra l’acqua di palude/ sulle fosse dei morti, sui vili, sui ruffiani/ Italia ladra, terra di culi allegri/ mercato d’arlecchini e sputa sul piatto/ e lei canta, fa acqua, ormai straripa/ nasconde la testa per noia di guardare/ La sete della malizia s’insinua/ volta le facce, cambia gli uomini in preti/ c’è gente che se ne frega, gente che ammazza/ gente buttata nella spazzatura come ciabatte/ Italia del bel sole sulle vegetazioni/ ride sul sangue, piange per il troppo mangiare/ Gran marmaglia, poveracci, talpe di miniera/ balliamo insieme al sole che verrà!

In memoria della Festa della Fraternità che si tenne il 14 luglio 1945 a Milano, magistralmente raccontata da Franco Loi nel suo romanzo L’Angel (Mondadori, 1994), Aurelio compone lo swing 14 Luglio, da sempre uno dei cavalli di battaglia di Barabàn e anch’esso inserito nell’album Terre di passo. I pomeriggi a casa Loi trascorrono parlando di poesia, dei suoi articoli pubblicati la domenica dal Sole 24 ore, di politica, del suo passato “rivoluzionario”, delle sue liriche musicate e reinterpretate da Tommaso Leddi e Umberto Fiori (Stormy Six).
Nel 2009, per il Giorno della Memoria, Loi e Barabàn hanno tenuto insieme un reading poetico-musicale al Teatro Trotter di Milano dove, per l’occasione, il gruppo ha eseguito i brani del grande poeta. Un piccolo-grande evento che a Franco sarebbe piaciuto replicare negli Stati Uniti dove era stato con Fiori e Leddi.

Ci rimane il ricordo di una persona straordinaria, di grande cultura e fuori dagli schemi. 
E ci rimangono la sua poesia, il suo amore per la vita, la storia, la musica, per la Milano del “popul armà, popul de speransa, niul che pasen bufà dal nient”.
Ciao Franco!