Ivrea: Leydi, il monello della cultura italiana

Roberto Leydi “monello della cultura italiana”

IL MUSICOLOGO MORTO 20 ANNI FA

da “Il Risveglio Popolare” del 07 settembre 2023
di Fabrizio Dassano

IVREA – Una giornata di studio intensa dedicata al ricercatore eporediese Roberto Leydi, sabato 2 settembre, ideata dall’Associazione di Storia e Arte Canavesana in collaborazione con il Centro Etnologico Canavesano per commemorare il 20° anniversario della scomparsa. “Roberto Leydi (1928–2003), l’eporediese paladino dell’altra musica” si è tenuta nella chiesa di San Gaudenzio, grazie alla collaborazione con Ij Croass dël Borghèt e al patrocinio della Città di Ivrea. Il programma, di alto livello, ha caratterizzato il pomeriggio e la serata, quest’ultima dedicata a interventi canori e musicali del mondo della musica “non colta”, con Amerigo Vigliermo (Coro Bajolese), che con Leydi si è dedicato alla ricerca delle radici del canto popolare canavesano, e Aurelio Citelli con “Roberto Leydi, il ‘monello’ che ci fece scoprire l’altra musica”, con i suoni del gruppo Barabàn. Gli interventi pomeridiani sono stati preceduti e poi moderati dal presidente dell’Asac Tiziano Passera che ha fatto il punto sulla ricerca di Leydi a 20 anni dalla morte, delineando anche le notizie sulla sua famiglia… “giunta a Ivrea nell’800, si ricorda il fotografo della fine di quel secolo, Angelo Leydi che aveva studio davanti la chiesa di San Domenico in via Arduino. Conosciute anche le sorelle, affermate modiste cittadine. Roberto era nato il 21 febbraio 1928 e come un altro illustre precedente canavesano, Costantino Nigra, si occuperà di etnomusicologia per tutta la vita.
Negli anni ‘50 fu cofondatore dello Studio di fonologia musicale Rai di Milano, collaborando con Luciano Berio e Bruno Maderna”.
Aurelio Citelli ha parlato del docufilm da lui realizzato nel 1996 a Orta San Giulio e a Milano e del suo rapporto con Leydi. Ha esordito con un omaggio alle vittime di Brandizzo e sottolineato “che la ricerca di Leydi si occupava dei lavoratori e del loro mondo, e che con l’amico Umberto Eco, Leydi fondò il Dams a Bologna nel 1971. Dopo la guerra aveva aperto un negozio di dischi a 78 giri in via Montenapoleone, ma l’avventura andò male perché erano appena usciti i 33 giri”. Era entrato a l’Avanti come critico musicale nel 1948, poi in Rai e successivamente a L’Europero dove portò Fedinando Scianna, il grande fotografo di Bagheria. Citelli ha rammentato spettacoli memorabili, come “Bella ciao”, programma di canzoni popolari interpretato dal Nuovo Canzoniere Italiano. Era un recital organizzato da Filippo Crivelli, Franco Fortini e Roberto Leydi su invito di Nanni Ricordi per il Festival dei Due Mondi di Spoleto. Gli costò una denuncia per vilipendio delle forze armate per la canzone “O Gorizia tu sei maledetta!”, denuncia che non ebbe seguito.
Fu Umberto Eco a definirlo “il monello della cultura italiana”. Con una punta polemica, infine, Citelli ha sottolineato che la Rai non ha dedicato spazio a Leydi per i 20 anni dalla scomparsa, e il frutto della sua ricerca musicale è finito in Svizzera. Apprezzato dal pubblico il documentario, in cui Leydi raccontava la propria storia di ricercatore e docente universitario.
Ha preso poi la parola Franco Castelli del Centro Ricerca Etnomusica e Oralità, e fatto il punto del rapporto tra ricerca etnomusicologa di Leydi in Piemonte, i documenti prodotti sui canti popolari del Piemonte nel 1974 e sulle mondine con Liberovici e la scoperta di Teresa  Viarengo di Asti, repertorio umano allora vivente, con un catalogo arcaico di canti popolari del vecchio Piemonte: un mondo sonoro diverso da ciò che è “colto”, e che non passa dai canali ufficiali.
Un’idea di vita e di cultura dinamica differente da ciò che registra la Siae, quell’oralità che sfugge ai parametri dell’ufficialità”. Una ricerca, quella di Leydi, che riprendeva anche l’esperienza del musicista Leone Sinigaglia sui canti popolari fatta a Cavoretto a inizio ‘900. Leydi era quello che faceva scoprire “un’altra Italia”, diversa dalla canzone italiana dei discografici, secondo la felice definizione di Franco Fortini.
E’ seguito Simone Broglia con un gruppo di Pifferi e Tamburi del Carnevale di Ivrea che ha eseguito tre brani tradizionali, ricordando che un componente del gruppo aveva accompagnato Leydi con il magnetofono a registrare il mondo sonoro del Carnevale. Il noto storico eporediese Franco Quaccia ha sottolineato l’importante chiave di lettura del carnevale secondo la storiografia odierna e letto brani degli interventi degli anni ’70 di Leydi sul Carnevale eporediese. Ha poi proseguito Alberto Lovatto sul rapporto tra Leydi e i canti della Resistenza, ricordando di essersi laureato proprio  con Leydi al Dams di Bologna, sottolineando la dimensione politica di Leydi in cui vedeva chiaramente le grandi dinamiche sociali, citando i molteplici interessi e le pubblicazioni. 
Breve coffee-break sul sagrato della chiesa e poi è toccato a Rinaldo Doro, musicista e studioso del Centro Etnologico Canavesano, lanciare un grido d’allarme sulla scarsa o nulla conoscenza dell’opera di Leydi e di altri da parte dei giovani che comunque fanno musica, e della genialità di quel “Manuale di etnomusicologia” che Leydi scrisse nel 1961, vera pietra miliare, oggi aggiornabile. Ha chiuso la parte pomeridiana Flavio Giacchero con una interessante analisi sulla realtà del mondo sonoro “altro” delle Valli di Lanzo, grandi dimenticate dalla ricerca etnomusicale, raccolte attraverso il Centro Ricerca Etnomusica e Oralità, erede del Centro Regionale Etnografico Linguistico (Crel) fondato a Torino nel 1992 da Franco Lucà con Emilio Jona e Michele Straniero.

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