Realizzato in oltre 3 anni di lavoro, l’album Il violino di Auschwitz comprende brani di nuova composizione ed elaborazione (Capelli di cenere, Bublichki / Ma Yofus, Andonis, Il viaggio di Marollo/ Battare prosciutto) oltre a brani tratti dall’omonimo spettacolo multimediale che la band milanese porta sui palcoscenici italiani dal 2010.
Sebbene la coscienza fatichi ad accettare come la musica potesse convivere con l’inferno dei campi, numerose sono le testimonianze, le storie, i libri e, seppur in misura minore, le immagini che attestano come ad Auschwitz, Dachau, Terezìn e Mauthausen si suonava, si cantava e si componeva musica. Nei lager la musica ha avuto un ruolo di esaltazione dell’orrore e annientamento della dignità umana: era presente in modo costante, quotidiano. Le note scandivano i ritmi dei prigionieri durante le marce verso i campi di lavoro, risuonavano in modo martellante e ossessivo nelle adunate, durante le esecuzioni, nei momenti di intrattenimento degli ufficiali.
Di fronte alla sola prospettiva della morte i musicisti non rinunciavano alla loro passione, arrivando talvolta a partecipare a orchestre, come ad Auschwitz, scrivendo melodie e canzoni nelle condizioni più disperate, cantando ninna nanne ai bambini come la straordinaria Wiegala scritta da Ilse Weber, cantando canzonette come nel caso di Nedo Fiano, matr. A5405, che si salvò dall’inferno di Auschwitz-Birkenau, oltre che per la conoscenza della lingua tedesca, per la sua bella voce: “Ho cantato e anche molto” ha raccontato Fiano “ero un zengher, come si dice in tedesco, un cantante. Venni individuato per caso da un Fuhrer baiter, da un caposquadra. Cantavo una canzone con un amico, Signorinella pallida. E, allora lui mi ha detto: “Tu sei un cantante?” “Bitte”, “Tu mai baracche”. Mi ha fatto andare alla sua baracca dove ho cantato per dei Capos. Poi ho cantato anche in altre baracche. E’ stato un mezzo di sopravvivenza, un mezzo banale ma è servito a qualche cosa. Anche perché poi sono stato in diversi campi, complessivamente 6 campi, e mi portavo dietro questa fama. Poi col digiuno si canta molto meglio. Nessun cantante canta dopo aver mangiato e in questo noi eravamo… ” (1)
Ancora Fiano: “Qualcuno avrà visto in qualche filmato l’orchestra del campo, un fatto strano in quell’inferno. L’ orchestra era un modello di pulizia, di ordine, di allineamento, non c’erano volti affamati.
Suonava musiche che porto ancora dentro di me, alcune erano dolci, altre feroci. Era uno strumento di tortura perché suonava con un ritmo che se marciando non lo rispettavi eri morto. Ti agguantavano con
ferocia, ti alzavano la manica sinistra, annotavano il tuo numero e dopo quattro ore eri cenere“.
Enrico Piccaluga, ingegnere milanese e fisarmonicista deportato a Dachau nel 1944, fu scelto per formare una piccola orchestra. Ha raccontato Piccaluga: “Due giorni dopo Natale, il Lager Ältester ordinò che tutti coloro che sapevano suonare qualche strumento si presentassero la sera nella Schreib-Stube per farsi provare. Voleva organizzare un complesso di suonatori, anche ridotto, che potesse rallegrare le lunghe serate invernali a lui ed alle SS. Poiché sapevo suonare la fisarmonica vi andai, e fui prescelto insieme con un mandolinista ebreo per formare così un primo nucleo. Accettai, perchè mi ripromettevo molti vantaggi da questo incarico: il giorno dopo, infatti, per ordine del Lager Ältester ebbi modo di fare un bel bagno, di rasarmi, cambiare tutti gli indumenti, ne ebbi di nuovi, di più pesanti, mentre l’infermiere capo, un famoso dottore di Budapest, ebbe l’incarico di fasciarmi con la massima cura le piaghe che avevo sulle mani, perchè fossi in grado di suonare col minimo dolore“.
Ha affermato Francesco Lotoro, pianista, compositore e direttore d’orchestra instancabilmente impegnato nel recupero, studio, esecuzione e promozione di migliaia di opere di musica concentrazionaria: «Nei campi di concentramento e di prigionia si è sempre fatta tantissima musica, di ogni tipo e di ogni qualità. A seconda delle aree può cambiare la tipologia di strumenti disponibili o la possibilità di suonare insieme, ma in qualsiasi contesto, dai campi dell’Asse ai Gulag sovietici, si suona, si realizzano teatri, si sviluppa il cabaret».
Altre testimonianze, seppur mediate, ci vengono dalla poesia, come quella del grande scrittore ebreo Paul Celan, scampato all’Olocausto: la sua Todesfuge (Fuga di morte), emblema poetico della riflessione critica intorno all’Olocausto, ne fa cenno in più occasioni:
Lui grida suonate più dolce la morte la morte è un maestro tedesco
lui grida suonate più cupo i violini e salirete come fumo nell’aria
Musica classica, da ballo, jazz, inni, opere liriche, melodie popolari, canzonette, motivi da cabaret: si suonava di tutto nei lager. Perché per i detenuti, fare musica o cantare significava ritrovare la dignità violata e, in molti casi, vivere.
Nel CD, accanto ai musicisti di Barabàn – Vincenzo Caglioti (organetti diatonici e voce), Aurelio Citelli (voce solista, tastiere, fisarmonica, bouzouky e percussioni), Giuliano Grasso (violino e voce), Maddalena Soler (voce solista e violino), Alberto Rovelli (contrabbasso e voce), Antonio Neglia (chitarre, bouzouky e voce) – suonano il giovane violinista Francesco Grasso, i clarinettisti Gianluigi e Matteo Midali (rispettivamente direttore e musicista – giovanissimo – del Corpo Bandistico di Rosate), e Paolo Ronzio alla chitarra acustica.
L’album si apre con Capelli di cenere, una composizione di Aurelio Citelli tratta dalla poesia di Paul Celan Todesfuge (Fuga di morte). Si parla di una Margarete dai «capelli d’oro» (prototipo della ragazza tedesca, con riferimento a un personaggio del Faust, di Goethe) e di una Sulamith dai «capelli di cenere», la fanciulla ebrea cantata nel Cantico dei Cantici che, con i suoi capelli bruciati nel forno crematorio, diventa il simbolo di tutti gli ebrei uccisi nei campi. Arricchisce il brano una citazione del tradizionale klezmer Araber Tanz.
Nella suite strumentale Bublichki – Ma Yofus emergono i clarinetti di Gianluigi e Matteo Midali affiancati nel secondo brano dall’organetto diatonico suonato con grande virtuosismo da Vincenzo Caglioti.
È ancora l’organetto di Caglioti a introdurre e a condurre con i violini di Francesco e Giuliano Grasso la Hora Tiganeasca (danza degli Zigani), un brano del folklore gipsy particolarmente accattivante.
Le numerose musiche da danza (di origine klezmer, rom o gipsy, chassidica o della tradizione resiana) si avvalgono della solida e raffinata base ritmica costruita dalle chitarre di Antonio Neglia e Paolo Ronzio, dal contrabbasso di Alberto Rovelli e dal piano e dalle percussioni, acustiche e digitali usate da Citelli.
Tra i brani vocali, oltre all’inedita Capelli di cenere, si segnalano quelli cantati magistralmente (e in diverse lingue) da Maddalena Soler: la celebre Andonis (con testo di Iakovos Kambanellis e musica di Mikis Teodorakis) nell’originale versione in lingua greca, la popolare Die Moorsoldaten (inno della Resistenza tedesca) eseguita in parte in tedesco e in parte in italiano, e la struggente Wiegala una ninna nanna che la compositrice e autrice di libri per bambini Ilse Weber cantò l’ultima volta nell’ottobre del 1944 prima di entrare nelle “docce” di Auschwitz insieme al figlio Tommy e altri bambini.
In Set Klezmer sono i violini di Giuliano Grasso e Maddalena Soler a riportare l’ascoltatore alla tradizione musicale degli ebrei Ashkenazi dell’Europa Orientale: i due archi, in solitudine, eseguono una Sherele seguita da una danza di nozze degli ebrei ungheresi: musiche delle comunità ebraiche dell’Europa dell’est scomparse a causa dei numerosi pogrom e della shoah.
I temi del contrasto all’indifferenza e della trasmissione della memoria compaiono ne Il capretto (Dona, Dona) brano che Herbert Pagani compose nel 1966 riprendendolo dalla famosa Dos kelbl scritta dal musicista ebreo Sholom Secunda su una canzone popolare polacca. Dice il testo: “Ti racconto questa storia/ perché un giorno pure tu/ dovrai fare l’impossibile/ perché non succeda più”.
Dopo un omaggio “live” a Goran Bregovic (Lullaby, ninna nanna) registrato nel 2022 all’Auditorium San Dionigi di Vigevano, uno ancora a Kambanellis e Theodorakis (Asma Asmaton) e al partigiano genovese Marollo (Il viaggio di Marollo/ Battare prosciutto) il CD si chiude con una suite di Danze resiane (Ta Bantava, Ta Solbaska, Pravimi no pravico, Ta lipavska) a ricordare come la violenza nazista, sempre sostenuta dal fascismo, colpì pesantemente anche le comunità alloglotte del Friuli orientale deportate negli speciali campi di concentramento “per slavi”.
L’album è dedicato a Liliana Segre.
Il violino di Auschwitz chiude la trilogia dedicata da Barabàn ai conflitti e ai drammi del Novecento. Avviato nel 2005 con il DVD Venti5 d’Aprile. Suoni, immagini e memorie per la Resistenza, il progetto era proseguito nel 2015 (centenario dell’entrata dell’Italia nella Grande Guerra) con il CD Voci di trincea.
Tracklist
1. Capelli di cenere
2. Bublichki/ Ma Yofus
3. Andonis
4. Hora Tiganeasca
5. Die Moorsoldaten
6. Set Klezmer
7. Un capretto (Dona, Dona)
8. Hasidic Waltz
9. Wiegala
10. Lullaby
11. Il viaggio di Marollo/ Battare prosciutto
12. Asma Asmaton
13. Danze resiane
Total time: 45 min.
Musicisti
Vincenzo Caglioti: organetti diatonici, voce
Aurelio Citelli: voce solista, tastiere, fisarmonica, bouzouky, percussioni
Giuliano Grasso: violino, voce
Antonio Neglia: chitarra acustica e classica, bouzouky, voce
Alberto Rovelli: contrabbasso, voce
Maddalena Soler: voce solista, violino
con
Francesco Grasso: violino
Gianluigi Midali: clarinetto
Matteo Midali: clarinetto
Paolo Ronzio: chitarra acustica
Registrato al Barabàn Digital Studio (Gaggiano MI, Italia) tra il 2020 e il 2023.
I clarinetti di Bublichki / Ma Yofus sono stati registrati nella Sala prove del Corpo Bandistico di Rosate.
Lullaby è stata registrata live nel corso del concerto tenuto da Barabàn a Vigevano (PV),
Auditorium San Dionigi, il 30 gennaio 2022.
Registrazione e missaggio: Aurelio Citelli.
Booklet a cura di Giuliano Grasso e Aurelio Citelli.
Revisione dei testi in tedesco: Alberto Rovelli.
Grafica: Elena Piccini e Giuliano Grasso.
Foto: Elena Piccini, Alberto Rovelli, Ralf Shulze, Sergio Slavazza, Teobaldo Soldà.
Coordinamento della produzione: Aurelio Citelli.
In copertina: violino appartenuto alla violinista Eva Maria Levy, internata ad Auschwitz. Collezione di Carlo Alberto Carutti – Le stanze della musica. Museo Civico Ala Ponzone, Cremona (foto di Elena Piccini).
Con il patrocinio dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri
Prodotto nel 2024 da Associazione culturale Barabàn – Gaggiano MI
ACB/CD28
© 2024 Associazione culturale Barabàn
Vendita online presso Fototeca Gilardi:
https://fototeca-gilardi.com/prodotto/il-violino-di-auschwitz/
€ 15,00 + spese di spedizione
Il CD è in vendita anche presso la Biblioteca di Rosate, Passaggio Pescheria – Rosate (MI)
(1) Testimonianza raccolta da Aurelio Citelli, Renato Minotti e Giuseppe Mazzotta, Milano, 2010.