La Padania al di là del Tejo

La musica dei Barabàn e il cinema di Michelangelo Antonioni nell’Alentejo. Un festival “lusitaliano”

il manifesto, 19/09/1996
Marco Boccitto – Montemor-O-Novo, Alentejo (Portogallo)

GENTE DEL PO in Portogallo. Le “nebbie luminose” di Michelangelo Antonioni sullo schermo, le luci nebbiose della piccola brigata lombarda Barabàn nelle orecchie. Lontano da Roma, dalla Padania, ma anche da Lisbona. E’ l’effetto decentrante di Sete Sois sete luas, il festival luso-greco-italiano di Pontedera (3-27 luglio) e allo stesso tempo (solo un paio di mesi più tardi) di Montemor-O-Novo, e prima o poi anche di Corinto (prossimo anno?).

La quarta edizione intanto ha portato a Pontedera e in altri tre comuni toscani “consorziati” Maria Joao, Godinho, La Ronda dos Quatro Caminhos per la musica, Teresa Villaverde e Joao Cesar Monteiro per il cinema. Invece dall’Italia verso l’Alentejo (la regione “al di là del Tejo”, sotto il fiume che sfocia a Lisbona) parte a scaglioni un drappello composto tra gli altri da Antonioni, i Barabàn, i Ghetonìa, lo scultore Paolo Grigò, Aringa & Verdurini, forse Moretti. Base del festival Montemor-O-Novo, circuitazione allargata al resto del paese solo per i gruppi musicali. E per il Living Theatre, ospite fuori quota e fuori rotta con gli spettacoli Mysteries (and other small pieces) e Utopia, workshop e seminari.

A Montemor in questi giorni passano estratti della filmografia “michelangiolesca”, da Gente del Po (1943) a Al di là del nuvole (1995), dal primo esordio al “secondo”, girato con Wenders 13 anni dopo Identificazione di una donnaPassando per Chung Kuo. China, documentario fiume del ’74, (format tv, testi di Barbato e consulenza musicale di Berio), per Il grido, Blow up e quasi tutto il resto. Lo scorso week end c’era Antonioni stesso ad incontrare il pubblico, con Enrica Fico Antonioni e il suo personalissimo making di Al di là delle nuvole. Fare un film è per me vivere è il primo e unico sguardo sul cinema del maestro ferrarese lanciato da dietro le sue spalle, sul set. “Quando Michelangelo l’ha visto per la prima volta si è addormentato – ha raccontato Enrica Fico – ma questo non è di per sé negativo. Poi ha detto che l’ultima scena era troppo lunga. Gli ho fatto notare che era una sua scena”.

Sul versante musicale i neo-tarantolati Ghetonìa hanno girato in lungo e (un po’ meno) in largo il Portogallo, riassumendo nella loro Grecia Salentina gli orizzonti preferiti del festival. A seguire sono arrivati i Barabàn, passati per la città sede del festival non un giorno qualsiasi per un gruppo che fa musica del Nord Italia: il 15 settembre. Ma l’espressione più decisa e accurata dell’identità musicale padana sorprende solo gli assessori alla cultura leghisti e i consulenti musicali delle sagre secessioniste. Forse, per quel poco che ne sanno, hanno capito che qui la discriminazione è subita e non inflitta. Insomma, non interessa l’articolo.

Barabàn (foto di Elena Piccini)

“Quando si parla di musica popolare, anche sulla stampa, si pensa solo al Sud – dice Aurelio Citelli dei Barabàn -. Sicuramente c’è abbondanza di tradizioni in Campania, ma non è detto che non ce ne siano affatto in Lombardia”. Storia vecchia, che risale probabilmente a quando libri con il sottotitolo “musica popolare italiana” si fermavano a Eboli venendo da Sud. “Nello stesso tempo – prosegue Citelli – dobbiamo a Leydi, De Martino, Carpitella e altri grandi, ricerche sulle musiche popolari del Nord. Quando l’Istituto de Martino è stato sfrattato, però, l’unico disponibile ad accogliere il suo prezioso archivio è stato il comune di Sesto Fiorentino, realtà ben lontana dalle zone da cui provengono la maggior parte dei materiali raccolti. Anche l’Ufficio Cultura del Mondo Popolare della Regione Lombardia è sempre sballottato da fondi che appaiono e scompaiono, invece dovrebbe poter lavorare a pieno regime perché ha un enorme potenziale di musica, immagini e testi da pubblicare”.

Il 15 settembre la secessione dei Barabàn è, in un certo senso, dal mondo intero. Si va in scena nella Casa del Popolo di una piccola frazione non distante da Montemor, oltre la nebbiolina alentejana, nella zona più comunista d’Europa, probabilmente. Cabrela ha quasi più anni di storia che abitanti, un teatrino, una casa per anziani visto che i giovani sono tutti emigrati, una “junta de frequesia”, il governo della frazione, che mette cultura e sport al primo posto. Il combo poco elettrico di Barabàn anni fa è stato anche al grande Festival Interceltico di Porto, ma certi paragoni non vanno d’accordo con lo spirito della sua musica.

Cabrela, frazione di Montemor-O-Novo, Alentejo (Portogallo)

“Vamos a tocar uma cancao della Padania, regiao ao norte de Italia…”. Aurelio Citelli voce solista, tastiere, programmazione, Diego Ronzio tra clarinetto, piffero e percussioni, gli organetti diatonici di Vincenzo Caglioti, violini, chitarre, ocarini e crotali vari che passano frequentemente di mano, piva, ghironda e basso che vanno e vengono (stavolta sono andati). Una qualità degli impasti vocali direttamente proporzionale alle virtù strumentali. Quintetto di musicisti-produttori-manager-ricercatori-tecnici, nonché membri dall’omonima associazione che stampa materiali folklorici, Barabàn incastra in piccole suite canti e balli raccolti spesso dagli stessi fondatori del gruppo. Canti contro Fuoco e Mitragliatrici pensando alla Grande Guerra, quando morivano per Trieste e Gorizia persone che non parlavano la stessa lingua ma erano tutti braccianti. Balli da piffero, archetti scatenati, eventi del calendario contadino, canti di lavoro per risaia, per filanda, Resistenza e carnevale, i giorni della merla e i dischi del sole. Canti per zitelle a sfondo “sexy rural” che spopolano a Mosca e in Canada, al Barbican Centre di Londra come a Cabrela… Ma anche il De Andrè “lombardo” di Canzone del Maggio (da Canti Randagi), perché anche il ’68 fu una faccenda poco etnica.